2 novembre
liturgia

Il 2 Novembre è il giorno che la Chiesa dedica alla commemorazione dei fedeli defunti, che dal popolo viene chiamato semplicemente anche “festa dei defunti”. Ma anche nella messa quotidiana, la liturgia riserva sempre un piccolo spazio, detto “memento, Domine…”, che vuol dire “ricordati, Signore…” e propone preghiere universali di suffragio alle anime di tutti i defunti in Purgatorio. La Chiesa, infatti, con i suoi figli è sempre madre e vuole sentirli tutti presenti in un unico abbraccio. Pertanto prega per i morti, come per i vivi, perché anch’essi sono vivi nel Signore. Per questo possiamo dire che l’amore materno della Chiesa è più forte della morte. La Chiesa, inoltre, sa che «non entrerà in essa nulla di impuro». Il colore liturgico di questa commemorazione è il viola, il colore della penitenza, dell'attesa e del dolore, utilizzato anche nei funerali.


07/08/2015 Dal giorno della morte fino al giudizio finale, le anime dei defunti, sia i buoni che i cattivi, dove staranno? Risponde il teologo mons. Giordano Frosini
Per la fede della Chiesa la sorte dei defunti è sostanzialmente stabilita subito dopo la morte, il che presuppone l’esistenza di un giudizio personale, sulla base del quale viene appunto stabilita definitivamente la sorte di ciascuno. Una presa di posizione del magistero, questa, che ha costretto la teologia a porsi il problema del rapporto fra il giudizio particolare e quello universale, sul quale si è sempre posto l’accento prima e dopo il ricordato intervento ecclesiale, che risale al 1336 e di cui parla Umberto Eco nel romanzo Il nome della rosa. Per san Tommaso, il secondo, più che la pubblicizzazione del primo, sarebbe un supplemento destinato a giudicare la persona come membro della società, condizionata da una storia, da una cultura, da una civiltà. Un discorso che viene semplificato da chi considera i due eventi come due dimensioni dello stesso giudizio. Il purgatorio, destinato a sparire alla fine, non muta la sostanza della decisione.

LA MORTE QUESTA SCONOSCIUTA
29 ottobre 2017 - 


NELLA società odierna si tende a “isolare” il defunto e ad isolarsi da esso trascurando la partecipazione e l'accompagnamento. Riflettiamo sulla morte nell’attuale contesto socio-culturale con don Michele Cursano, canonico della cattedrale di Otranto e collaboratore parrocchiale presso la chiesa di san Luca in Palamariggi (Lecce).
Come ci si pone dinanzi alla morte?
«Oggi la morte è divenuta l’innominabile. Ormai tutto avviene come se né io, né tu, né quelli che mi sono cari, fossimo più mortali. Oggi non si vuole neppure nominarla. L’anziano e il moribondo sono presi in carico dall’ospedale e dalla medicina delle case per anziani, sottratti ai loro congiunti prima ancora di essere morti».
La morte non è più un fatto sociale?
«No, interessa solo al massimo i familiari. Non si esita a far morire gli anziani negli ospedali, nelle case per anziani, un funerale in forma strettamente privata, magari in una Cappella dell’ospedale e via al cimitero. Il morire è spogliato di ogni significato umano e ridotto a puro e semplice evento biologico a cui le persone partecipano solo in maniera passiva».
Quali proposte per un cammino cristiano per i parenti del defunto in parrocchia?
«Nelle nostre parrocchie, almeno in alcune, il parroco e un piccolo gruppo di fedeli con discrezione si recano presso la casa del defunto e chiedono ai famigliari se possono sostare e pregare con la Parola di Dio e i Salmi».
A cura di Lucia Giallorenzo.-
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